Lui & Lei
FOLGORE!
di oltreconfine
16.10.2017 |
3.580 |
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"Ti piace bruciare i tempi o sbaglio?"..."
"SEI TROPPO VELOCE! SCENDI AL DOPPIO DELLA VELOCITA' CONSENTITA. FAI PRESTO, LIBERATI DELL'EQUIPAGGIAMENTO E RICORDA: ATTERRAGGIO OBLIQUO; IMPATTA SUI TALLONI, SUI TALLONI E AMMORTIZZA PIU'...". Furono le ultime parole dell'istruttore a terra ricevute via radio, mentre sganciavo la "zavorra". Poi più nulla, se non il silenzio intorno, rotto da qualche impercettibile folata di vento che mi giungeva dai paracadute dei compagni che mi atterravano a qualche distanza intorno. Provai ad eseguire le consuete manovre di recupero ma un dolore lancinante, dal bacino in giù, mi fece perdere i sensi. Mi risvegliai all'ospedale di Pisa dopo aver "dormito" artificialmente per due giorni.Ero letteralmente mummificato nel gesso. Il primo volto che misi a fuoco fu quello di una dottoressa specializzanda in ortopedia che con fare amorevole e dalle parole tranquillizanti mi rassicurò nonostante le gravi fratture riportate. Pronunciai qualche parola invocando il mio brevetto di aviolancio, ma sembrava parlassimo due linguaggi diversi. Mentre lei regolava dei tiranti agganciati ad una gabbia da una parte ed alle mie gambe dall'altra, continuava a guardarmi incuriosita ed a scuotere la testa sorridente, quasi non volesse credere alle mie parole del tutto fuori luogo, pronunciate evidentemente in uno stato di veglia onirica. In un barlume di lucidità, ripercorsi tutte le fasi di quel maleddeto lancio: la luce verde, il segnale sonoro, la pacca sulle spalle del direttore di lancio, la fune di vincolo regolare, l'uscita dal portellone e l'apertura della vela. Dove cazzo ho sbagliato? Solo qualche giorno più tardi avrei saputo dal Comandante della Scuola al mio capezzale, che io non avevo responsabilità nell'accaduto e che il mio paracadute aveva subito una perdita di portanza i cui motivi erano ancora all'esame. A riprova mi mise sul petto il distintivo argentato con tanto di stella a cinque punte, a simboleggiare il brevetto militare, rassicurandomi che sarei tornato a lanciarmi dopo qualche preventivo lancio con atterraggio in acqua. Fu, quella, la terapia migliore, insieme ai sorrisi della mia dolce specializzanda di nome Roberta, che ogni tanto, vista la confidenza che era subentrtata tra noi, si divertiva a stuzzicarmi con frasi del tipo: "voi paracadutisti siete tutti matti; ma come potete mettere a repentaglio la vostra vita ogni volta? Che vi passa nella testa?" "E' un 'illusione Roby" le risposi una volta; "l'illusione di volare senza ali per pochi momenti eppure capaci di dare significato ad una vita intera tra un lancio e l'altro, in trepidante attesa del prossimo. E' la stessa illusione di quando si è innamorati, pur cansapevoli che prima o poi avverrà l'atterraggio più o meno brusco come è stato il mio. Se sei o sei stata innamorata puoi capirmi." Mi guardò perplessa e pensierosa, quasi incredula a quelle mie parole uscite di bocca ad un pazzo e solo alla dismissione dall'ospedale, nel salutarla mi disse: "lanciarsi in un amore effettivamente può essere più pericoloso che lanciarsi nel vuoto, ma è una magnifica illusione... finchè dura. Ieri, dopo cinque anni, mi sono lasciata con il mio fidanzato. Ti faccio tanti auguri, sei stato un paziente esemplare". Non ebbe il tempo di terminare le sue parole, che mi lanciai su di lei, è proprio il caso di dirlo, in un abbracio forte e tenero, accompagnato da queste parole che le sussurrai nell'orecchio: " i prossimi lanci simulati dovrò farli atterrando sul morbido, ma per renderli reali ho bisogno di una straordinaria, soffice illusione. Se non hai nulla in contrario e mi dai l'indirizzo, questa sera alle 20,00 sono sotto casa tua".
Puntuale come un orologio svizzero ero davanti casa sua e con altrettanta puntualità la vidi uscire dal portone. Per la prima volta la vedevo indossare abiti femminili non nascosti dal solito camice bianco. Sportiva, con dei jeans attillati ed una camicina che lasciava scoperta un pò di spalla. Scarpe ballerina che le conferivano ancor più un'andatura leggera e sportiva. Era un incanto. Scesi dall'auto per andarle incontro, sia pure ancora zoppicante, che già pronunciavo queste parole: "Stasera la folgore la ho negli occhi Roby; vederti senza camice supera ogni mia immaginazione. Sei strepitosa" e allungai le labbra per baciarla sulle guance ricambiato. Mi guardò ed un pò preoccupata riassunse il suo tono professionale che avevo imparato ad osservare in ospedale pronunciando un "ho visto che zoppichi più vistosamente dei giorni scorsi e anche di stamane. Non dovresti camminare troppo e nemmeno troppo stare in piedi. Anzi, sai che c'è? Adesso vieni su a casa mia e stiamo insieme in salotto. Faccio una telefonata e ci facciamo portare due pizze. Disdici pure qualsivoglia programma avevi in mente, perchè adesso è il tuo medico che parla". Incantevole Roberta; non ebbi il coraggio di replicare nulla se non un "Comandi!", seppur pronunciato in un improbabile "sugli attenti". "Riposo tenente, riposo è quello del quale hai bisogno. Vieni, appoggiati a me e andiamo su a casa mia. Voglio anche darti una controllatina" aggiunse lei, offrendomi il suo braccio in segno d'aiuto. Durante quei tre piani saliti in ascensore con lei, avvertii tutta l'inadeguatezza inbarazzata dell mia condizione convalescenziale, accompagnata dall'inevitabile pensiero della piega inattesa che stava prendendo la serata. Come avrei dovuto comportarmi ? L'istinto mi suggeriva di non lasciarmi sfuggire la ghiotta occasione, ma la realtà mi castigava a metterlo da parte. "Ma non vedi come sei ridotto? Non sai nemmeno se quel coso in mezzo alle gambe reagisce. Dentro ti ci hanno infilato di tutto, ad iniziare dal catetere E poi anche fosse? Per quanto tempo pensi potrai durare? E con quali energie che non ti reggi in piedi?" Domande che mi stavano mandando in paranoia, più di quanto le condizioni fisiche già non facessero. Per fortuna arrivò il suo: "Eccoci arrivati" esclamato da Roberta, facendomi strada prima uscendo dall'eascensore e poi invitandomi ad entrare in casa. Un bell'appartamentino lindo e pulito, modernamente arredato e funzionale. Accomodati in salotto che io intanto faccio la telefonata per le pizze. Mi guardai intorno, sbirciando nella libreria bianca davanti a me, ricolma di libri, per lo più di natura medico-professionale. Ma anche i romanzi non mancavano e tra di essi non me ne sfuggì uno che è anche tra i miei preferiti: "il deserto dei tartari" di Buzzati. Lo presi tra le mani e ne sfogliai qualche pagina distrattamente, come però a rievocarne il contenuto del quale ricordo tutto avendolo letto più di una volta. Roberta ricomparve nel soggiorno quasi all'improvviso esclamando alle mie spalle: "il tenente Trogu penso ti somigli solo nel grado che ricopriva quando, ancora giovane, giunse in quella guarnigione Bastiani; non mi sembri molto propenso alla metafora dell'attesa. Ti piace bruciare i tempi o sbaglio?". "Si, è vero Roberta. Eccessivi tatticismi possono nuocere alle nostre stesse speranze; anche a quelle più segretamente agoniate" e così dicendo in risposta alla sua domanda, lasciai cadere il libro sulla poltrona, avvicinandomi a lei prima abbracciandola e poi baciandola teneramente. Rimanemmo abbracciati con le labbra a pochi centimetri le une dalle altre e le manifestai tutta la mia gratitudine per le cure che mi aveva prestato rimettendomi in piedi in meno tempo di quello che mi sarei aspettato e poi, visto che c'ero, le feci notare scherzando, che c'era anche qualcun altro pronto a ringraziarla: "Sai quanti mesi sono che non mi succedeva di avere una reazione così? E' vero, occasioni non ho potute averne per ovvi motivi, ma ciò non toglie che tu fai miracoli... e professionali come medico e sensuali come donna. Ti desidero". Sorrise lievemente e poi seria replicò: "allora vediamo di non sciuparli questi miracoli, specialmente quelli professionali. Togliti i calzoni e draiati sul letto, che voglio controllare le ferite ed accertarmi del tono muscolare. Quest'ultimo è fondamentale per il recupero e gli esercizi fisioterapici, tanti e dolorosi che ti sono stati da fare dovrai essere costante nell'eseguirli quotidianamente". Alla mia sia pur momentanea esitazione al suo invito, scoppiò in una risata e aggiunse: "Non sarai mica in imbarazzo? Sai quante volte ti ho visto nudo durante i mesi di degenza in ospedale?" "Non sono in imbarazzo Roberta", risposi "è solo che adesso voglio essere io per primo a vederti nuda" e così dicendo feci i gesti di sbottonarle la camicetta, sfilarla lungo le maniche aiutato dalla flessuoisità dei suoi movimenti. Mi dedicai poi al piccolo fiocchetto posto anteriormente tra le duce coppe del reggiseno ed infine presi confidenza con i suoi jeans, sino a sfilarglieli del tutto. Esile e calda , si portò le mani pudicamente sui seni e si adagiò sul letto, mostrandomi con la lentezza dei suoi movimenti, sin dove poteva spingersi la mia eccitazione. Mi spogliai a mia volta, con la fretta questa volta di non perdere un minuto in più di quel corpo che mi attendeva ; la baciai sul viso, sulle labbra, sul collo... ogni centimetro della sua pelle era esplorato dalle mie labbra sinchè, dopo averle sfilato le mutandine minuscole, avidamente presi a leccarle la sua intimità , dapprima lentamente, superficialmente e poi, man mano che avvertivo il suo bagnato piacere, sempre più intensamente ed in profondità. Inarcò la schiena e premendomi la testa sul pube, la sentìì emettere un prolungato, profondo "lamento", ritmato dai movimenti del bacino che mi parve in preda ad una misteriosa quanto eccitante danza del ventre. Risalii con le labbra lungo il suo corpo, lasciando una scia di saliva mista ai suoi umori, sino infine a scambiarli con la sua bocca in baci di voluttuosa passione. La stessa che mise Roberta nel dedicarsi al mio membro, leccandomi poi lo scroto e poi ancora il tratto perianale. Sentii la sua lingua morbida irrorami di saliva filante , per poi prendere confidenza con la bocca del glande, mentre con la mano mi segava l'asta sino a farsi schizzare sul viso. Si sollevò dal caldo pasto e guardandomi dritto negli occhi, fece un gesto così lascivo, porco e sensuale, che mai mi sarei aspettato da lei: roteò la lingua sulle labbra più volte e poi succhiò le sue dita dopo aver raccolto le gocce di sborra che ancora filamentavano lungo il suo viso. "Per questa sera basta, la terapia può terminare qui esclamò". "Abbiamo espugnato la fortezza Bastiani dottoressa" aggiunsi io.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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